«Revenge Porn»: se la vendetta tocca la reputazione
Dopo la terribile vicenda di Tiziana Cantone, la trentenne napoletana che si è tolta la vita nel settembre scorso, si legge sempre più spesso di «revenge porn», ovvero di diffusione di video o foto a luci rosse all’insaputa e senza l’autorizzazione delle protagoniste (nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di donne). Di solito accade per vendetta nei confronti di una ex-fidanzata, di una collega, amica o amante; i video o le foto rimbalzano da un cellulare all’altro grazie alle app di messaggistica, ma ci sono anche casi come quello della «Bibbia» di cui abbiamo parlato qualche giorno fa.
Dopo quella terribile vicenda, inoltre, il fenomeno non si è certo arrestato: nella sola città di Padova di recente ci sono stati due casi, uno che ha coinvolto una ragazzina quindicenne, l’altro una donna di trent’anni. In entrambi i casi le vittime hanno denunciato.
Ma se nel caso della giovane minorenne i «leoni da tastiera» si sono scagliati più sull’educazione impartita dai genitori e sul ruolo della tecnologia nella vita delle nuove generazioni, nel secondo caso i commenti sui social network hanno investito direttamente la ragazza che, dopo aver condiviso sul proprio profilo Facebook un video in cui spiegava la sua versione dei fatti, ha deciso di cancellarlo. Al Mattino di Padova ha poi dichiarato: «Nel video (quel video hard condiviso dal suo ex ragazzo, ndr) non faccio del male a nessuno e non sto facendo qualcosa di fuorilegge. La persona che ha diffuso il filmato sarà punita, ma voglio far riflettere tutti coloro che hanno condiviso anche solo una volta quelle immagini. Vergognatevi: poco tempo fa, come ricordate, una ragazza si è tolta la vita per colpa di un video molto banale. Io fortunatamente sono una persona forte e questa cosa non mi ha toccato. Se fossi stata debole, come quella ragazza, voi in questo momento sareste colpevoli di qualcosa di molto grave».
Dopo la terribile vicenda di Tiziana Cantone, infatti, continuano i «se l’è cercata», rafforzati dal fatto che questa ragazza lavori in discoteca e che ami mostrarsi con abiti scollati su Instagram. Come se una donna non potesse vestirsi come le pare e farsi tutte le foto che vuole. Ma soprattutto, come se non ci fosse differenza tra ciò che è consensuale e ciò che non lo è, tra ciò che una donna sceglie di fare con il proprio corpo e ciò che invece lei vorrebbe che restasse privato.
La linea di confine non è sottile, eppure ecco che automaticamente si attacca la «reputazione» della donna:
Fortunatamente c’è anche chi ne prende le difese e la considera una vittima. Sì, perché non si dovrebbe dimenticare, dopo la vicenda di Tiziana Cantone, che il «revenge porn» è reato, anche se per ora nel nostro paese non esiste una legge specifica per questa pratica, che è considerata «semplice» diffamazione (e i tempi affinché la giustizia faccia il suo corso in questo caso sono lunghi). Ma le cose potrebbero cambiare a breve, visto che nel settembre scorso è stata presentata una proposta di legge che prevede di punire con la reclusione da uno a tre anni chiunque diffonda immagini private (con un aumento di metà della pena qualora il fatto venga commesso dal partner). Ma ci vuole veramente una legge per auspicare un cambiamento di mentalità?
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