Riforma Boschi: perché siamo arrivati al voto?
Caduto il fascismo e terminata la seconda guerra mondiale, con il rischio palpabile che i fedelissimi del regime tentassero di restaurare il loro ormai perduto potere, i membri dell’assemblea costituente vollero creare una Carta in netto distacco con lo Statuto Albertino. Quest’ultimo, concesso da re Carlo Alberto nel 1848 e poi esteso all’Italia unita era flessibile: per modificarlo bastava adottare l’iter legislativo previsto per le leggi ordinarie. Quindi era un procedimento abbastanza semplice. Al contrario, la Costituzione italiana è rigida: il percorso da intraprendere per poter approvare delle modifiche è ben più gravoso rispetto alla legiferazione ordinaria.
Tutto questo risiede nell’articolo 138 della Carta: un libretto di istruzioni conciso ma preciso che proviamo a esaminare.
Il primo aspetto interessante è la dilatazione dei tempi. Di norma, un testo, una volta discusso, viene approvato una sola volta dalla Camera e una dal Senato. Invece, nel caso delle leggi costituzionali, ciò deve essere ripetuto, anche se sembra si sia trovato un accordo definito tra le parti politiche in gioco. Inoltre, ulteriore particolarità, tra la prima e la seconda votazione deve intercorrere un periodo non proprio breve di almeno novanta giorni. È doveroso, date queste regole che a primo impatto possono apparire macchinose e magari poco sensate, andare a conoscere ciò che ha spinto il legislatore a disegnarle in questa maniera. La «pausa» di novanta giorni intende soprattutto verificare che a votare quella riforma costituzionale non sia stata una maggioranza posticcia ed effimera, ma uno schieramento capace di essere ancora compatto dopo tre mesi.
È interessante notare che, nel caso della riforma costituzionale su cui saremo chiamati a votare il 4 dicembre prossimo, la lunga durata del processo legislativo (dall’8 aprile 2014, data di presentazione del Ddl, al 15 aprile 2016, data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) non è stata utilizzata per informare correttamente i cittadini sul tema. Nella gran parte dei telegiornali l’argomento occupava un ruolo di secondo piano, se non addirittura marginale. Questo è stato causato anche dalle modalità che sono state adottate in aula: non dimentichiamoci del fatto che, pur di annientare l’ostruzionismo prodotto dagli emendamenti delle opposizioni, vennero calendarizzate svariate sedute notturne, le quali hanno impedito all’italiano medio, già non particolarmente avvezzo al seguire le vicende legislative, di prestare la dovuta attenzione allo stravolgimento di più di 40 articoli della Costituzione.
È innegabile, invece, che, ora che siamo in piena campagna elettorale, è in atto un vero e proprio bombardamento mediatico sul tema. Adesso che è richiesto il voto dei cittadini, troviamo il referendum ovunque.
Leggendo il terzo comma dell’articolo 138, riportato qui a sinistra, è facile capire che, a differenza di come è stato venduto, il referendum non è un dono del Governo che, magnanimo, ha deciso di dar voce ai cittadini.
La verità è che non è stata raggiunta in parlamento la maggioranza qualificata dei due terzi. Ma perché non è stata scelta la maggioranza «relativa» o la maggioranza «assoluta»?
È noto che la nostra Carta è ricamata di elementi di garanzia come contropesi al potere degli eletti. L’istituzione della maggioranza qualificata è una norma redatta ad hoc per evitare che il partito o la coalizione momentaneamente al potere modelli la Costituzione a suo vantaggio, producendo distorsioni che potrebbero comportare un pericoloso cambiamento dell’assetto democratico dello Stato. Le riforme costituzionali, per l’appunto, non dovrebbero essere espressione di una sola parte dell’emiciclo, ma frutto di un lavoro il più possibile coeso, partecipato, condiviso da tutti i gruppi parlamentari, senza alcun interesse particolare.
Ma, al di là del contenuto della Costituzione, è essenziale, dopo che questi passaggi sono stati percorsi, che il cittadino assolva al proprio dovere di informarsi sul contenuto della riforma Boschi. Che si scelga di votare «Sì» o di votare «No», questa è una premessa che non dobbiamo snobbare.
Classe 1995, laureata in giurisprudenza.
Il diritto e la politica sono il mio pane quotidiano, la mia croce e delizia.
Vi rassicuro: le frasi fatte solo nelle informazioni biografiche.