Scontri a Bologna: l’incoerenza del CUA
In questi ultimi giorni si è molto parlato, anche lontano da Bologna, dei fatti accaduti al civico 36 di via Zamboni, sede della biblioteca della facoltà di Lettere. Già a inizio gennaio era stata ventilata l’ipotesi di regolare gli accessi all’aula, garantendo l’identificazione di chi ne facesse uso anche attraverso tornelli automatici che si aprissero con il badge dell’Università.
Le motivazioni di tale scelta erano da imputare, come riportato dalla direttrice Francesca Tommasi, a ragioni di sicurezza: comuni sarebbero infatti episodi di furto e spaccio, oltre che a molestie, anche di natura sessuale. Inoltre, dopo che l’orario di apertura della biblioteca era stato prolungato dalle 17 alle 24, la questione non sembrava essere più rimandabile. Dopo l’installazione di tali misure, sono subito iniziate le proteste da parte del Collettivo Universitario Autonomo (Cua). Il 23 gennaio viene aperta la porta di emergenza dell’aula, per evitare i sistemi di controllo, e azioni simili si sono ripetute nei giorni seguenti. L’8 febbraio la situazione degenera: i tornelli vengono smontati a forza e portati al rettore. Come conseguenza, la biblioteca viene chiusa dall’Ateneo, ma subito occupata dal Cua. Il 9 febbraio, con l’intervento della polizia, viene infine sgomberata, sotto le accuse del Collettivo di «aver fatto entrare la celere all’Università».
Tutta la vicenda sembra frutto di un sistema che ha ormai dimenticato i principi su cui dovrebbe essere basato il dialogo democratico e in cui ogni forma di interazione avviene tramite azioni violente e unilaterali. Il Cua ha pieno diritto di manifestare la propria disapprovazione su qualsiasi misura presa dall’Università, a maggior ragione se supportata da una petizione, come quella presentata contro i tornelli. Allo stesso modo però, gli organi direttivi dell’Ateneo hanno pari diritto di prenderne atto e fare comunque quanto ritengono opportuno. È quantomeno incongruente richiamare a una libertà costituzionale allo studio, per poi imporre con la forza, e quindi al di fuori di ogni forma di diritto, le proprie visioni. Come è incongruente rifiutare ogni forma di controllo in nome dell’essenza pubblica e statale dell’Università, senza però riconoscere alcuna legittimità agli organi decisori che quello stesso Stato prevede.