«Scuole da incubo»: sputtaniamo i prof

È sempre troppo facile denigrare chi mette davvero il cuore nel proprio lavoro. La prima vittima di «Scuole da incubo», un professore che si è fatto fotografare in classe con la bandiera rossa, è colpevole di aver creduto fino in fondo nella «buona scuola» (quella vera) che Salvini, autore dell’iniziativa, insiste di voler difendere. In un modo abbastanza discutibile, cioè invitando a segnalare docenti politicizzati in una pagina Facebook. Con delle foto.

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«Scuole da incubo» è solo l’ennesima trovata per seminare zizzania, ma più di ogni altra ha suscitato in me sdegno e paura.
Sì, anche paura, perché so che con una foto non si possono incastrare i professori che davvero non sanno fare il proprio lavoro, che mettono voti a casaccio, non spiegano nulla, non preparano le lezioni, a volte non conoscono nemmeno la propria materia; ce ne sono tanti, ma, tra i casi che conosco, tutte le volte che sono stati denunciati ai dirigenti scolastici non ci si poteva fare nulla, era semplicemente così.
So anche che invece basterebbe una piccola cosa, anche più banale di una foto, anche una semplice parola di un ragazzo ingenuo a un genitore intollerante, per diffamare i professori che veramente sanno insegnare; perché per insegnare non basta entrare in aula, parlare e mettere qualche voto. I professori in gamba ci mettono l’anima, cercano di coinvolgere gli studenti, ci stanno male se i ragazzi non capiscono, si fanno continuamente domande sulla propria capacità di insegnare, e in classe discutono anche di politica, sì, cercando di aiutare gli studenti a farsi una propria opinione.

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Il mio è un appello a tutti coloro che credono che il mestiere del professore sia facile e comodo, perché si lavora mezza giornata, si sta a casa durante l’estate, non si fa fatica. Non è vero. Il professore lavora tutti i giorni, a tutte le ore; ha grandi responsabilità e un compito delicato, quello di insegnare a vivere, e deve insegnarlo anche a chi non ne vuole proprio sapere.
Cerchiamo di capire, di portare rispetto e di non farci abbindolare da chi ci vorrebbe trasformare in un gregge di pecoroni arrabbiati.