Sette buoni motivi per rileggere Pasolini
Pier Paolo Pasolini, nel bene o nel male, è difficile che lasci indifferente il lettore. Per questo motivo, non essendo né lui né nessun poeta un dio, ogni giudizio sensato è accettabile. Oggi invece, rispondiamo a un articolo tutt’altro che sensato apparso sul sito della rivista Studio a firma Francesco Longo (vedete lo screen qui sopra), collaboratore di Internazionale e del Corriere. Per darvi un’idea di cosa sia Studio, basti pensare che ha ospitato pezzi di Gianni Riotta e di Claudio Cerasa, attuale direttore del Foglio, ma non divaghiamo. Occupiamoci invece dell’articolo in questione. Per essere più precisi, preferiamo utilizzare la stessa divisione in paragrafi scelta dall’autore. Partiamo quindi dal quesito «Perché dobbiamo dimenticare Pasolini?».
Esotismo
Innanzitutto sarebbe buona norma vedere la foto in questione. Evidentemente Francesco Longo non ci concede questo privilegio, noi sì. Ecco la foto, o almeno quella che supponiamo possa essere, visto che di immagini di Pasolini che gioca a pallone ce ne sono parecchie.
All’affermazione «Il distacco tra intellettuale e persone comuni, come registra quello scatto, resta sempre lampante» è bene rispondere facendo notare che il poeta bolognese non ha mai avuto né l’ambizione né la volontà di «mischiarsi» con il popolo: è stato a contatto con la gente delle borgate e da queste conoscenze sono nate anche amicizie come quella con Ninetto Davoli o con i fratelli Citti. E poi, come se non bastasse, Pasolini non ha mai affermato di far parte delle classi sociali che frequentava. In ultima istanza: non si è liberi di giocare a calcio – soprattutto in modo a dir poco dilettantesco – con qualunque vestito si desideri?
Eroismo
«Dopo Pasolini si può essere considerati grandi scrittori semplicemente per ciò che si è, invece che per ciò che si fa: opere letterarie e artistiche non contano poi tanto». Qui Longo dimostra di sottovalutare ampiamente l’opera di Pasolini (ha letto qualcosa?): può piacere o non piacere, però prima di esprimere giudizi netti come questo forse sarebbe il caso di sfogliare qualche pagina di quello che ci ha lasciato: in effetti 10 volumi dei Meridiani Mondadori (60 euro cadauno) sono troppi per delle opere che «non contano poi tanto»: se l’importante era la vita di Pasolini, tanto valeva stampare 10 volumi di biografia.
Dietrologia
Questo è forse l’apice del pressapochismo. Basterebbe leggere l’intervista rilasciata a Furio Colombo l’1 novembre 1975, poche ore prima di essere ucciso, dove si trova la risposta a questa storia del «complottismo»: «Per voi (giornalisti, ndr ) una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente» e poi «Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi». Successivamente afferma: «Non vorrei parlare più di me,forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo». E infatti poche ore dopo sarà ucciso. Non è in Pasolini la responsabilità di questa distorsione «complottistica» ma in chi vuole leggere in lui ciò che gli fa comodo. Leggere attentamente è un’arte di pochi, strumentalizzare di quasi tutti.
Eclettismo
Essere impegnati ed eclettici non è certo un difetto. Se qualche intellettuale si sente erede di Pasolini soltanto perché fa il «tuttologo» cialtrone, il poeta bolognese non c’entra nulla. Longo insiste che «La migliore performance è vivere», dimostrando di avere davvero poche argomentazioni a sostegno della sua proposta di «dimenticare» Pasolini: l’importante non è quante cose si fanno, ma come si fanno queste cose.
Per quanto riguarda gli ultimi due motivi per «dimenticare Pasolini», sono le solite accuse vecchie come il mondo, come quella, citata da Longo, «Il fatto che, come si diceva e come scrisse Alberto Arbasino, adorasse “i minorenni”, non registrò nessun rischio per la sua immagine». Gli intellettuali si giudicano dalla loro opera, non dai loro vizi e dai loro eccessi.
Ci dispiace per Longo, così amareggiato dall’assenza di intellettuali in Italia da dare la colpa all’esempio Pasolini. Se si leggesse quello che ha scritto l’autore bolognese con attenzione e buona fede, ci si accorgerebbe che questa è proprio l’inquietante realtà in cui Pasolini non si riconosceva e che, al contrario, descriveva con paura.
Peccato, Francesco, sarà per la prossima volta.
Ha collaborato Cierre
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia