Sex worker: politica e stampa fanno i cavoli loro

Carol Maltesi è stata uccisa da Davide Fontana il 10 gennaio e il suo corpo, conservato per settimane in un freezer, è stato ritrovato due mesi dopo, fatto a pezzi e abbandonato dentro a dei sacchi. Una storia agghiacciante che gran parte della stampa italiana non ha saputo trattare con la dovuta professionalità, facendo leva sul fatto che Maltesi fosse una sex worker

Il ruolo della stampa

Gran parte dei titoli dei pezzi mette in primo piano il fatto che la vittima fosse una «pornostar», fino ad arrivare all’articolo di Andrea Cuomo per il Giornale che si conclude con un caustico e insensato «Non si uccidono così anche le cattive ragazze». Insomma, Carol Maltesi era una «cattiva ragazza».

Magari ci sbagliamo noi, ma non ci risulta che – nel caso di altri brutali omicidi – il lavoro della vittima fosse così importante. In questo caso evidentemente agli occhi dei titolisti lo era, visto che è un particolare messo in primo piano. Il legittimo dubbio che sorge è che evidenziando il fatto che la vittima fosse una «pornostar» si sia voluto far leva sulla pruriginosa curiosità dei lettori e racimolare così qualche visualizzazione in più. 

È banale affermare che il sex work in Italia è qualcosa di non accettato a livello sociale. Sia che tu lo faccia virtualmente sia che tu fornisca servizi «di persona», tutta la tua vita svanisce e di te rimane solo il lavoro che fai. Quello che fa impressione è che, di fronte a vicende terribili come quella che ha avuto come vittima Carol Maltesi, non ci sia nessun desiderio di normalizzare il lavoro sessuale. Anzi. 

È ovvio che, quando si scrive un articolo di cronaca su un omicidio, il lavoro della vittima è comunque un dettaglio importante. Ma Carol Maltesi è diventata semplicemente «la pornostar», sublimata in un gesto di disumanizzazione totale. 

Il ddl anti-prostituzione

Nelle scorse settimane, poi, la senatrice 5 Stelle Alessandra Maiorino ha presentato un disegno di legge che vorrebbe punire i clienti di chi fornisce prestazioni sessuali a pagamento. In un ddl che unisce Stato etico e paternalismo non viene fatta alcuna distinzione tra chi si prostituisce per libera scelta e chi è vittima della tratta di esseri umani. E si associa il pagamento di una prestazione sessuale alla violenza di genere, senza nemmeno distinguere il genere del cliente e del sex worker, dando per scontato che il primo sia un uomo e la seconda una donna.

Se la politica e la stampa rappresentano lo specchio di un Paese, la situazione italiana non è certo florida in tema di lavoro sessuale. Definire, come viene fatto nella presentazione del disegno di legge, la prostituzione un’«attività che degrada e svilisce l’individuo» significa mettere nelle mani dello Stato la facoltà di decidere che cosa è giusto o sbagliato fare con il proprio corpo

Non è una questione di «opinioni». Non è un dibattito pro o contro il «sex work». Ognuno pensa quello che vuole. La questione del lavoro sessuale è particolarmente delicata (e riguarda tutti i cittadini) perché tocca i diritti fondamentali dell’individuo che deve potersi autodeterminare. E la stampa ha il dovere di raccontare il lavoro sessuale con serietà e professionalità, senza scadere nei luoghi comuni o nei romanzetti d’appendice.