UE fu, siccome immobile

1443.

No, non stiamo parlando di una data storica e neppure di un particolare articolo del codice civile, bensì del numero delle persone morte in mare da inizio anno, persone che avevano la sola colpa di cercare un futuro migliore, sia che fossero migranti economici oppure rifugiati politici.
Ben 1104 di questi poi hanno lasciato la vita mentre tentavano l’arrivo in Europa sfruttando la cosiddetta rotta del Mediterraneo centrale.
A renderlo noto è l’ Oim, ovvero l’organizzazione mondiale per le migrazioni, la quale comunica anche i numeri degli arrivi in Europa dal Mediterraneo relativi a questi primi sette mesi dell’anno 2018:
circa 50’000, contro i 93’237 arrivi dell’anno precedente.
Pare pacifico che tale diminuzione sia dovuta all’accordo di giugno 2017 con la Libia, che da qual momento in poi sguinzagliò per il proprio tratto di mare la guardia costiera in ricerche a tappeto, le quali, hanno contribuito a rendere la rotta libica ancora più pericolosa per i migranti.

Ecco perchè la nuova rotta di punta delle migrazioni è diventata quella spagnola, che ha visto l’arrivo di 18000 persone circa contro le 17827 arrivate in Italia, sancendo così per la prima volta da quando ha avuto inizio la crisi migratoria, il triste primato spagnolo degli accessi rispetto all’ Italia.
Più dei dati e della mera statistica, però, occorre sempre ricordare che si sta parlando di esseri umani impegnati nel difficile tentativo di migliorare la propria condizione economica, o di sfuggire a guerre e persecuzioni.
Sembra essere questo, infatti, a sfuggire ai freddi palazzi di Bruxelles ed alle cancellerie di mezza Europa, i quali, abituati a decenni di liberismo economico e lobbismi trattano e confrontano esseri umani alla stregua dei numeri, delle percentuali e dei grafici.

Il fenomeno va invece analizzato nel suo contesto e visto per ciò che è: il risultato di continue ingerenze e destabilizzazioni da parte dei paesi europei e del nord America nei confronti dei paesi africani.
Destabilizzazioni economiche, nei vari casi che vedono gruppi industriali e multinazionali occidentali impegnati a sfruttare e dilapidare risorse dei paesi africani senza restituire nulla in cambio, e destabilizzazioni politiche, causate da guerre, bombardamenti e ingerenze nei confronti di quei paesi sovrani non allineati che hanno l’unica colpa di non volersi assoggettare alle decisioni delle potenze europeo-americane.
Basti ricordare l’evoluzione del contesto politico della Siria e della Libia come esempio, e sempre se si è dotati di buona memoria, ritornare a quel momento in cui mezza Europa esultava per l’ennesima destituzione non democratica di un leader africano (Gheddafi) o per la dichiarazione di guerra nei confronti di un altro personaggio (Al-Assad) che grazie anche al fatto di essere amato dal popolo siriano, è riuscito gradualmente a riconquistare la Siria.

In mezzo a tutto questo c’è una marea di persone, centinaia di migliaia, forse milioni, che non vedono un futuro nella propria terra e pensano che affrontare i trafficanti, i tagliagole libici e per ultimo il mare, sia meglio che morire di fame e di stenti.
Quale dunque la soluzione?
L’accoglienza indiscriminata ha fallito, è questo sembra palese.
Sembra poter fallire, in virtù del numero sempre maggiore di morti in mare, anche la politica dei respingimenti, in quanto in ogni caso anche se la propaganda di semi-chiusura dei porti parrebbe aver dato risultati in Europa, non è per ovvi motivi ciò che può servire a diminuire le partenze alla fonte.

Sembra non si possa prescindere perciò, nonostante quanto possa sembrare strano in periodo di crisi economica, da massicci investimenti in quei paesi di origine.
Investimenti che non dovranno essere di tipo imperialista, seguendo lo stile coloniale del XX secolo, ma volti alla creazione di strutture ospedaliere, di scuole, di posti di lavoro, di stabilità economica e di benessere.
Delle due l’una: o si accetta di intervenire economicamente e di investire (anche a fondo perduto) in quei paesi, o si accettano migrazioni epocali di persone che hanno la sola colpa di voler vivere dignitosamente (come previsto dalla Convenzione dei diritti dell’uomo) e si accetta di essere perciò responsabili anche di quelle morti che tanto inorridiscono quanto facilmente si dimenticano.
L’ Europa deve riflettere e agire, oppure sarà la fine del suo progetto di integrazione.