SOS Museo Italia: stiamo erodendo 986 miliardi
Il Museo Italia detiene dal 60% al 75% di tutti i beni artistici esistenti in ogni continente. Dei 1121 siti riconosciuti dall’Unesco quali Patrimonio dell’Umanità ben 55 risplendono sotto il simbolo del tricolore italiano. Oltre 4mila musei, 5mila aree archeologiche, 85mila chiese soggette a tutela e 40mila dimore storiche censite compongono il patrimonio culturale più ampio del pianeta, dal valore complessivo, secondo il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, di 986 miliardi di euro.
L’Italia, però, dietro alla sola Grecia, è il Paese UE con la minor percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura. Alla ricchezza immensa si contrappone poi l’incapacità di conquistare maggiori frutti: per Francia e Regno Unito il ritorno degli asset culturali è tra 4 e 7 volte maggiore di quello italiano.
Frane e alluvioni, tormentano, inoltre, tra l’8 e il 4% del territorio italiano, suolo effimero su cui insiste il 18,1% del patrimonio artistico nazionale, pari a 34mila beni di interesse culturale.
Firenze è la città con il più alto indice di rischio, in quanto detiene il più alto numero di beni a rischio, pari complessivamente a 1258, tra i quali spiccano la Basilica di Santa Croce e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, già tristemente danneggiate dalla terribile e celebre alluvione del 1966. Il capoluogo toscano è seguito in classifica da città artistiche quali Venezia, Ferrara, Ravenna e Pisa, mentre Roma, seppur centro ad elevato rischio di inondazioni, si colloca su uno scenario a bassa probabilità di rischio, ove i beni culturali a debole rischio ammontano a 2190, tra i quali emergono per delicatezza i nomi di Piazza del Popolo, del Pantheon e di Piazza Navona.
Questi sono i numeri e i dati a viva voce ripetuti per anni e anni da uno spirito generale che è rigonfio d’orgoglio, ma è al tempo stesso contrito da un velo di malcelata amarezza.
Tra il 2019 e il 2020 il numero statistico si è fatto storia e la cronaca ha registrato due eventi degni di attenzione: l’alluvione veneziana che ha impantanato Piazza San Marco e il nubifragio siciliano che ha devastato la Scala dei Turchi.
Il 12 novembre dello scorso anno Venezia si è risvegliata sommersa dall’alta acqua. Una marea salata superiore a 180 centimetri ha inferto duri colpi a marmi, tessere e mosaici della Cattedrale di San Marco, il prezioso scrigno italiano, incontro tra gotico, bizantino e romanico, che il prossimo 8 ottobre compirà 926 anni. Mentre il Mose, giacente ancora incompleto, si gloria della sua prima prova di sollevamento, le colonne della Chiesa d’Oro continuano ad essere potenzialmente esposte alle violente ondate, alla consumazione della propria forma, alla perdita di stabilità.
L’ultima settimana di un luglio rovente ci ha, invece, consegnato l’immagine deturpata della Scala dei Turchi, la parete rocciosa agrigentina che fu, all’epoca delle incursioni piratesche, sicuro rifugio per i saraceni, ma che oggi è terra di scorrerie per i vacanzieri selvaggi.
I costoni rocciosi della meravigliosa scogliera di marna bianca sono candidati a divenire Patrimonio dell’Unesco, ma nel corso dei decenni hanno subito per mano del turismo di massa numerosi atti di vandalismo, dalla sottrazione di pezzi di marna all’esecuzione di carotaggi non autorizzati. Il sito, di rilevanza eccezionale sotto il profilo geologico, storico, archeologico e paesaggistico, il 27 febbraio 2020 è stato posto sotto sequestro, in via d’urgenza, dal Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. L’estrema fragilità e delicatezza del bene, accresciutesi in seguito all’opera incivile dei visitatori e alla cementificazione incosciente dell’area perimetrale, è divenuto tema di pubblico dominio dopo i turbolenti nubifragi siciliani dell’inverno 2020, che hanno provocato lo sbriciolamento della scogliera e la caduta di pesanti massi che minano la conservazione della marna bianca. La Scala dei Turchi è irrimediabilmente divenuta un’area a rischio crolli, interdetta ai visitatori e a chicchessia.
Ferdinando Sciabarrà, questo il nome del sedicente proprietario di una grossa fetta della scogliera, è indagato per occupazione di demanio pubblico. Il bene, infatti, nonostante l’acclamato valore pubblico, è vittima di un ambiguo status giuridico. Sciabarrà, che non ha mai effettuato alcun intervento a tutela del sito, detiene il possesso di fatto del bene, ha avanzato pretese di carattere economico sul suo sfruttamento e ha preteso di effettuare opere di recinzione dello stesso, ma il Comune di Realmonte contesta il titolo di proprietà e afferma che la Scala dei Turchi meriti l’attenzione di un pubblico custode.
Nel frangente, nonostante i divieti, la celebre scogliera è stata presa d’assalto da turisti stranieri e locali, che scavalcano le transenne, calpestano la marna bianca, piantano ombrelloni e scattano selfie diretti a Instagram, dove l’hashtag #ScaladeiTurchi ha risuonato nella prima metà di luglio ben 180mila volte, sì da rendere il litorale siciliano il luogo italiano più fotografato dalla ripartenza post-Covid.
Come denuncia MareAmico, l’associazione ambientalista che da tempo si batte per la protezione e la messa in sicurezza dell’area, nessun intervento dell’autorità amministrativa è stato posto in essere per vigilare sulla violazione dei sigilli. Centinaia di turisti hanno, così, impunemente varcato per giorni le recinzioni, fino a quando nella giornata del 27 luglio, una sorprendente operazione della Capitaneria di Porto e del Comando dei Carabinieri ha indotto i sovversivi alla fuga. Solo 31 individui, italiani e stranieri, hanno avuto tra la calca la peggio: identificati e deferiti all’Autorità Giudiziaria, si sono resi responsabili del reato di violazione dei sigilli, trasgressione punita con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Il Presidente Conte, forte dell’accordo siglato a Bruxelles sul tavolo dei 27, ha dichiarato che il Recovery Plan sarà destinato alla promozione del patrimonio artistico della Nazione, attraverso il dispiegamento di efficaci risorse di investimento sui brand italiani famosi nel mondo.
Mentre ci si avvia ad abbracciare un nuovo autunno apportatore di tempeste, si immagina anche la ricostruzione, ma un unico grido emerge forte dalle Alpi a Lampedusa: SOS Museo Italia.
Classe 2000, figlia del XXI secolo e delle sue contraddizioni. Ho conseguito la maturità presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e frequento la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Trento