Stefano Pivato – Al limite della docenza

Al limite della docenza
Stefano Pivato
Donzelli editore – 2015 – 17 euro

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Di Elena Ferrato
Ha fatto molto discutere l‘intervista apparsa in questi giorni su L’Espresso a Matteo Fini, blogger e ricercatore universitario che denuncia le scorrettezze e i sotterfugi del mondo accademico.
Ma Fini non è certo l’unico ad occuparsi degli aspetti più oscuri degli atenei italiani: Stefano Pivato un paio di mesi fa ha pubblicato
Al limite della docenza, un pamphlet preciso, ironico e lucidissimo sulla situazione contemporanea dell’università italiana.
«Il suo andamento – spiega l’autore – è regolato più dalle consuetudini che dalle regole» e le stesse norme hanno tutelato, nel corso dei secoli, l’autonomia dell’Accademia, «che ha a sua volta creato una categoria privilegiata all’interno del mondo del lavoro». Già, privilegiata, e presentata dall’autore come una vera e propria
tribù caratterizzata non solo da riti e linguaggi specifici, ma soprattutto da precise e immutate gerarchie (il professore Emerito, il Magnifico Rettore, e così via), che sono determinanti nel caso di bandi e concorsi.
Raccomandazioni, baronaggio e trucchetti sono all’ordine del giorno: basti pensare a quei professori che adottano il proprio libro per un esame, lo firmano (come gli scrittori famosi) e rifiutano di verbalizzare il voto agli studenti che non si presentano con il frontespizio intonso.
O a quei rettori che assumono gli ex-segretari dei ministri dell’Istruzione. O a quei docenti che distribuiscono le ore di lezione a proprio piacimento, ignorando le normative esistenti (secondo cui i docenti devono dare lezioni per almeno tre giorni a settimana), per avere settimane o interi mesi liberi.
Pivato, insegnante di Storia Contemporanea ed ex-rettore dell’Università di Urbino, durante la sua carriera ha potuto constatare l’esistenza di molteplici
«tipi da cattedra»: l’autore di bestsellers, il litigioso, l’egocentrico, molto più diffusi di quanto si possa immaginare.
L’autore, tuttavia, non demonizza l’Università
in toto, anzi: vuole salvaguardare quelle sue parti che riescono a non cedere alle «consuetudini» sopracitate a preparare in maniera adeguata gli studenti, ovvero la nostra futura classe dirigente.
Al limite della docenza rappresenta dunque una critica e un’ autocritica, a tratti molto amara, di un mondo ancora poco conosciuto dai più, a causa di quell’alone di mistero e impenetrabilità che la stessa Accademia italiana ha creato intorno a sé. É un’opera dettata dall’esigenza di affermare con forza che un cambiamento dell’atteggiamento dei docenti è alla base di qualsiasi altra riforma.

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