Le stive delle navi hanno portato nuove specie nei nostri mari
Quando si parla dei pericoli rappresentati dalle petroliere, si è portati a pensare agli sversamenti del carico che si verificano in seguito a incidenti o danneggiamenti della struttura della nave. Purtroppo però vi sono alcuni problemi ambientali legati alle navi dedite al trasporto merci che esulano dagli eventi sporadici di perdita di materiale, ma sono altrettanto gravi.
Le navi da carico, una volta svuotate stive o serbatoi al porto di destinazione, per stabilizzare lo scafo accumulano acque di zavorra, ossia riempiono i compartimenti prima colmi di merce con qualche tonnellata di acqua di mare per evitare che l’imbarcazione sia troppo leggera e rischi di capovolgersi. Il liquido accumulato, secondo le disposizioni dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), va rinnovato più volte, a seconda della lunghezza della tratta da percorrere per il rientro. Infatti, lungo la colonna d’acqua, anche ai livelli più superficiale, sono presenti le larve di vari organismi, che una volta risucchiati all’interno della nave vengono spostati di habitat quando i compartimenti raccolgono la loro zavorra. A questa pratica è riconducibile la comparsa di meduse e altri animali originari di aree tropicali o oceaniche all’interno del Mediterraneo: non essendoci i loro predatori abituali la loro espansione non viene contenuta e in breve tempo possono anche diventare più numerose delle specie autoctone.
Ora, ogni nave deve obbligatoriamente trattare le acque di zavorra con apposite apparecchiature, a bordo o a terra, prima di poterle rilasciare in mare, ma in passato i controlli erano molto meno rigidi, serbatoi venivano svuotati addirittura in prossimità dei porti. Così si è trasferita da noi una medusa come Rhopilema nomadica, bellissima a vedersi per il particolare colore blu ghiaccio, ma molto meno gradevole da incontrare durante una nuotata, poiché provoca sulla pelle delle gravi ustioni da puntura se toccata. I nostri alleati naturali contro queste invasioni sono le tartarughe di mare (la celebre Caretta caretta, che alleva i piccoli soprattutto lungo le coste calabresi), poiché grazie al guscio e alla pelle robusta sono immuni alle punture. L’unica parte a rischio sono gli occhi, ma la tartaruga una volta avvicinatasi alla preda urticante attacca alla cieca, come volesse gustarsela meglio. Sono specialmente le giovani tartarughe a prediligere questo cibo, da adulte diventano invece erbivore.
Laureata in Biologia all’Università di Padova, mi occupo di didattica ambientale al WWF. Attualmente studio per la magistrale.