Storia e biologia: le follie su evoluzione e adattamento
L’adattamento è la base per la sopravvivenza. Se da piccoli veniamo abituati gradualmente a una condizione, possiamo sviluppare dei meccanismi per sopportarla senza problemi. Il problema è che non possiamo trasmetterli: un cambiamento fisico indotto non è determinato dal Dna, che resta tale dalla fecondazione alla morte, e quindi non può manifestarsi nei figli. Mutazioni ne compaiono in continuazione, e generalmente quelle favorevoli rimangono (come rimane la specie). Ma l’adattamento del singolo riguarda lui e lui solo.
Un errore storico nello studio dell’evoluzione derivò proprio da questo. Lamarck (in foto), naturalista che elaborò una delle prime teorie sull’evoluzione, sosteneva che mantenendo un gruppo di individui in una determinata condizione a cui devono adattarsi, questi svilupperanno delle caratteristiche che poi si trasmetteranno ai figli in modo sempre più accentuato. La deduzione dello scienziato proveniva dallo storico esempio della giraffa: l’animale avrebbe sviluppato un collo più lungo rispetto agli altri ruminanti per nutrirsi delle fronde degli alberi e averlo trasmesso alla progenie, e i figli lo hanno via via allungato rispetto alle specie simili per sfruttare alberi più alti per nutrirsi. Peccato che le modifiche trasmissibili compaiano per mutazione, non per adattamento fisico graduale… un semplice caso, un errore genetico avrebbe accresciuto le dimensioni delle vertebre, rendendo il collo come lo conosciamo noi. La mutazione comparsa in alcuni individui poi si sarebbe conservata nelle generazioni, integrandosi definitivamente nei geni della specie.
Del resto l’idea che sia possibile sviluppare specie resistenti alla nascita grazie all’adattamento, ha dell’assurdo: se ci trasferiamo in un posto più freddo dopo qualche tempo ci abituiamo, ma di sicuro nostro figlio appena nato non lo lasceremmo fuori al freddo fin da subito. Eppure, nonostante la teoria fosse già dichiarata superata, a metà del secolo scorso un sostenitore di Lamarck, T. Lisenko (1898-1976) si convinse di poter dare una svolta all’economia dell’Urss: abituando il grano al clima delle steppe Siberiane, avrebbe potuto incrementarne la produzione. Iniziò quindi a seminarlo a temperature via via più fredde aspettandosi dopo qualche raccolto di ottenere delle piante resistenti… ma riuscì solo a sprecare una buona quantità di cereali. La selezione operata da noi o dall’ambiente può solo eliminare gli organismi più deboli e mantenere quelli che possiedono già una resistenza maggiore, ma non farà comparire nulla di nuovo, a livello permanente.
Le «novità» derivano da quel codice a 4 lettere dove la ricombinazione è continua, e che ogni tanto genera qualcosa di nuovo, polmoni, penne, un cuore diverso… poi attraverso la riproduzione, gli individui in cui compare il nuovo carattere aumentano, formando un gruppo evolutivo. Per semplificare con un esempio, l’uomo ha grandi capacità di sfruttare i diversi ambienti, ma nessuno nasce già con la scienza infusa. Anche se sono le capacità di ragionamento a consentirci l’adattamento, ogni bambino parte sempre da zero, e sviluppa conoscenze diverse; ciò che tutti abbiamo sin da subito è un cervello con volume maggiore rispetto alle scimmie, mutazione presente da millenni che si è radicata nella nostra specie, da cui dipende la nostra razionalità. Come utilizzarla, varia in ciascuno. Come vuole un luogo comune, solo ciò che è scritto (nel genoma) rimane.
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