Storytelling, quando letteratura e giornalismo si incontrano
L’avvento delle nuove tecnologie ha ridefinito modi, tempi e mezzi di comunicazione, comportando una veloce evoluzione del modo in cui si racconta una storia e si riferisce di un fatto. Il giornalismo ha subito uno stravolgimento radicale dopo l’avvento del digitale, ma anche la letteratura ha dovuto accettare di adattarsi a una nuova sensibilità narrativa, rinunciando ad alcune delle sue funzioni e caratteristiche storiche. Il risultato è che, al giorno d’oggi, la cronaca di fatti reali e quella delle rappresentazioni fittizie spesso s’intrecciano nel calderone dello storytelling, termine che significa semplicemente saper raccontare una storia per bene.
Questa nuova tendenza comunicativa, però, è tutto tranne che una novità.
Il giornalismo è storytelling
Notizia flash: l’oggettività nella cronaca giornalistica non esiste, nemmeno quando una notizia viene riassunta in mezza riga comunicando l’essenziale. Perché il semplice fatto si comunichi, o si dia priorità, a una certa notizia invece che a un’altra, specialmente al giorno d’oggi in cui le informazioni accessibili sono pressoché infinite grazie alla Rete, è espressione di un punto di vista, così come lo è il criterio che assegna lo status di notizia a un’informazione invece che a un’altra, ovvero la rilevanza.
Quest’ultima è legata alla possibilità di usare quel fatto per trasmettere un’idea ed evocare un certo carnet emotivo nella mentre di chi la riceve, sulla base di riferimenti, immagini e simbologie comuni tra autore e lettori, spesso legate ad altri accadimenti precedenti con cui si stabilisce una correlazione o un’analogia. Tale processo trasforma dunque il mero riportare un fatto e i suoi dettagli specifici in qualcosa di più soggettivo.
Nella genesi di una notizia in senso giornalistico abbiamo dunque: un punto di vista, un’idea di fondo, singola e ben definita, una serie di riferimenti simbolici e immagini implicite, una scena con caratteristiche e analogie che la legano ad altre precedenti e aprono spiragli a collegamenti successivi. Infine, la volontà dell’autore dell’articolo di usare tutto ciò per lanciare un messaggio, sebbene poi l’interpretazione del lettore lo deformerà secondo il suo punto di vista.
Chiedete a qualunque scrittore cosa rappresenta tutto questo e vi risponderà: gli ingredienti essenziali per scrivere un racconto o un romanzo. Ovvero fare dello storytelling.
Dall’epidemia delle informazioni a quella delle immagini: la letteratura oggi
Cos’è cambiato nel modo di scrivere dei contemporanei rispetto al recente passato? Principalmente due fattori.
Il primo è il costante confronto con le immagini. Una delle funzioni storiche della letteratura, al pari dell’illustrazione a mano libera, era di rappresentare, di dare un’idea e un’immagine a cose, fatti e soggetti che le persone non avevano la possibilità fisica di conoscere da sé. Emblematica in questo senso è la vicenda del disegno riportato in basso, opera dell’intellettuale Albrecht Dürer nel 1515, adottato dalla cantina vinicola La Spinetta per le sue etichette.
Cos’ha di tanto speciale questo ritratto di un rinoceronte indiano? Il fatto che l’autore non ne avesse mai visto uno dal vivo, e ovviamente non esistevano foto, ma è comunque riuscito a crearne una riproduzione fedele soltanto sulla base di una descrizione.
Questa funzione e proprietà quasi magica della letteratura oggi è praticamente inutile, perché siamo sommersi sia da valanghe d’informazioni che d’immagini, e dunque il compito di chi scrive in maniera creativa è selezionare e combinare tra loro una serie di fotogrammi già presenti nelle iridi di chi legge e asservirli al messaggio che intende trasmettere, evitando le indigestioni di dettagli, ormai anacronistiche e fini a se stesse.
Perciò, approcciarsi alla letteratura oggi significa narrare in modo fluido, ritmico, comprensibile ed evocativo. Ovvero fare storytelling.
Dalla letteratura educativa al patto narrativo, ovvero scendere dal piedistallo
La seconda funzione storica della letteratura che è venuta a decadere negli ultimi anni è quella di contribuire all’alfabetizzazione della gente. Infatti, con l’affermazione del sistema scolastico di massa e il costante martellamento comunicativo dell’era digitale, il ruolo dei libri nell’espandere il linguaggio delle persone comuni è ormai marginale.
Fin dagli albori dell’era di internet di massa, i primi anni 2000, sono fioccate analisi e opinioni apocalittiche sulla compressione del vocabolario e sulla presunta perdita di capacità comunicativa tra i giovani per colpa delle nuove tecnologie, le quali, stranamente, provengono quasi sempre dagli intellettuali del vecchio mondo, in buona parte analfabeti digitali. Il punto è che sono cambiati mezzi e tecniche, ma non la sostanza.
Infatti, come esistono Tik Tok con i suoi 15 secondi per video e Twitter con il suo limite di 140 caratteri, peraltro abusato proprio dalla generazione degli intellettuali cartacei, l’evoluzione dell’offerta della Rete ha portato negli anni all’affermazione di strumenti dal preciso taglio culturale e di approfondimento come Audible, Kindle, WordPress e parzialmente anche YouTube. Essi sono semplicemente una riedizione digitale di strumenti presenti nel mondo prima di internet, e anche allora erano appannaggio di una minoranza più colta.
Insomma, di sicuro aveva ragione Umberto Eco quando parlava di diritto di parola, o meglio, di visibilità momentanea, data agli imbecilli, tuttavia gli ignoranti non sono aumentati di numero rispetto agli anni Settanta, ma fanno solo un po’ di rumore in più sfruttando la viralità, per poi prima nell’oblio quando questa si esaurisce. Insomma, la verità a questo riguardo è una combinazione di Eco e Andy Warhol:
In futuro, ognuno sarà famoso in tutto il mondo per 15 minuti
Andy Warhol
Tornando alla letteratura, non ha più senso che si concentri sui voli pindarici o sul fornire strumenti culturali e lessicali, ma è efficace solo se punta sulla potenza evocativa di ciò che racconta.
Perciò un autore, per quanto dotato di una proprietà di linguaggio superiore alla media, deve avere il coraggio e la modestia di scendere dal piedistallo e creare un patto comunicativo peer to peer con il lettore, cambiando il paradigma da: «Ti racconto una bella storia per educarti», a «Ti trasmetto un messaggio forte raccontandoti una bella storia».
Che, manco a dirlo, è il concetto alla base dello storytelling.
I fatti stanno alla base della letteratura
Come accennato a inizio articolo, la contaminazione tra narrazione di un fatto, messaggio e racconto non è certamente una novità dell’era digitale. Fin dagli albori della letteratura gli esempi si sprecano.
Dopotutto, cosa sono i poemi epici e i testi sacri se non una mistura di cronache di fatti e biografie di personaggi considerati rilevanti per gli intellettuali e i narratori dell’epoca, via via distorte e riproposte in a causa dell’evoluzione del punto di vista e del messaggio che si voleva trasmettere? C’è forse uno storytelling più puro, secondo i criteri definiti prima, di quello contenuto nell’Iliade, nel Sutra del Loto o nella Bibbia?
Venendo a tempi più recenti, la letteratura si è via via sempre più agganciata alla realtà, l’allegoria è stata sostituita dalla richiesta implicita di sospensione dell’incredulità come parte integrante del patto narrativo, e la finzione narrativa ha subito nei secoli un certo ridimensionamento, che l’ha condotta sempre più vicina al racconto giornalistico di una vicenda realmente accaduta.
Non per niente, proprio quando il giornalismo come lo conosciamo muoveva i primi passi, ovvero nel XVIII secolo, intellettuali come Voltaire e Rousseau comunicavano le loro idee sul mondo reale attraverso ritratti e vicende di attori sì fittizi, ma estremamente plausibili, in libri che titolavano proprio con il nome del personaggio seguito dall’idea centrale (Candide o L’Ottimismo – Émile o Dell’educazione). Non potendo trovare piena corrispondenza ai loro ideali in fatti reali, la ricercavano nel verosimile.
Tale tendenza non è minimamente cambiata nei secoli successivi, nemmeno quando si parla di scrittura surrealista o di generi che esulano dalla realtà, in quanto è possibile alterare degli elementi del reale in funzione scenica, come nel caso dell’horror o della fantascienza, ma una storia non funziona senza una sua logica interna, anche se completamente capovolta rispetto a quella del reale, e non interessa a nessuno se non porta una rappresentazione emotivamente risonante. Vale lo stesso per una notizia, che può essere la più importante di sempre, ma senza una voce in grado di narrarla usando le immagini e le parole tanto precise quanto d’impatto rimane un ammasso di dettagli senza alcun significato.
Nel panorama italiano, il più riuscito punto d’incontro tra i due modi di mandare un messaggio attraverso la scrittura è stato Indro Montanelli, il quale si distingueva come giornalista proprio per la capacità d’impreziosire la cronaca grazie a un punto di vista peculiare e comunicato con schiettezza, in modo né troppo meccanico né eccessivamente enfatizzato. Insomma, scriveva articoli dalla dignità letteraria e racconti di fantasia dall’accuratezza giornalistica, come balza subito agli occhi se si legge il volume Montanelli Narratore, un concentrato di storytelling allo stato puro.
Classe 1993, volevo fare il giornalista ma non ho la lingua abbastanza svelta.
Mi arrabatto tra servire pietanze, scrivere e leggere romanzi, consumare bottiglie di vino, crisi esistenziali, riflessioni filosofiche di cui non frega niente a nessuno e criptovalute.
Amo il paradosso, dunque non posso essere più felice di stare al mondo.