#StupidityDay: fuori lo Stato dalle mutande!
Sbagliare tutto. Se la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni, lo è anche la politica del Ministero della Salute che ha appena proclamato per il 22 settembre il Fertility day, una giornata in favore della fertilità, messa a rischio da comportamenti dannosi come per esempio il fumo.
Se l’obiettivo era lodevole, il percorso per raggiungerlo è semplicemente aberrante: delle immagini offensive e pornografiche che hanno avuto l’effetto (prevedibile e comprensibile) di mandare in vacca il Fertility day 3 settimane prima che accada. Al di là del Fertility game a cui si può giocare visitando la pagina Facebook dell’iniziativa (scegliendo come avatar uno spermatozoo o un ovulo), videogame che sembra uscito da un libro di Bram Stoker, sono proprio le slide ad aver causato un moto d’indignazione collettivo. Offensive perché, con frasi come «Datti una mossa! Non aspettare la cicogna», «La bellezza non ha età, la fertilità sì» e «La Costituzione tutela la procreazione cosciente e responsabile» il Ministero ha attaccato implicitamente rispettivamente le donne che magari vorrebbero avere figli ma che non possono permetterseli, e le donne che hanno deciso di tenere la prole dopo una gravidanza indesiderata (procreazione incosciente e irresponsabile, secondo il Ministero, ci permettiamo di supporre). Pornografiche perché, quando sentenziano che «La fertilità è un bene comune» e che bisogna preparare «la culla per il futuro» (con l’immagine di un bel ventre piatto), portano a un’inaccettabile reificazione del corpo umano.
Al di là di tutto questo, siamo davanti a una campagna che non si limita a fare «il bene dei cittadini», ossia a consigliare loro gli stili di vita migliori da adottare (consigli pratici non ce ne sono, solo sentenze), qui vi è lo Stato – attraverso il Ministero della Salute – che vuole entrare nelle nostre mutande. Anziché notare che i figli si fanno tardi perché è difficile mantenerli (sia in termini economici, sia in termini di tempo) prima di trovare un lavoro stabile, si punta tutto sull’aspetto biologico della questione. Anziché favorire la procreazione, per esempio, entro i 28 anni, ci si limita a sentenziare senza chiedersi il motivo per cui, al di là di coloro che figli non ne vogliono o che non possono averne (che non sono certo elementi da discriminare), gli italiani procreano dopo i trent’anni. Qui lo Stato anziché muoversi per favorire la realizzazione e il benessere dei propri cittadini, dà in modo implicito e sottile delle linee di condotta da seguire che però esulano dalle proprie competenze. Il benessere sociale va perseguito ma viene sempre dopo il benessere dell’individuo: una società non sta bene se è fatta da individui frustrati.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia