Sulla via per la «democrazia energetica»: le rinnovabili a casa nostra

Questa settimana al «Fenice Green Energy Park», parco che si basa totalmente su fonti di energia rinnovabile e che organizza convegni a tema, oltre a ospitare corsi di formazione sui cosiddetti Green Jobs, si sta svolgendo il Festival «Ecofuturo». Consiste in una serie di incontri sulla sostenibilità, con temi che variano dalle energie rinnovabili al patrimonio forestale, dai trasporti ai combustibili, al riciclo.

Ieri pomeriggio, in particolare, sono stati trattati alcuni aspetti delle rinnovabili, sia in generale sia nel particolare, con il racconto di un imprenditore e di come si organizzano i gruppi di acquisto.

L’incontro, dal titolo «La Bellezza delle energie rinnovabili», si è aperto con l’intervento del moderatore Sergio Ferraris, Direttore di Qualenergia. Il ragionamento che ha fatto è partito, appunto, dalla bellezza: il peggior nemico delle rinnovabili in Italia, probabilmente per una serie di interessi contrastanti, è la burocrazia. Gli ormai famosi vincoli paesaggistici sono in grado di portare una quantità abnorme di ritardi e, a conferma di ciò, ha portato un esempio semplice ma efficace. Per riuscire ad avere dieci pale eoliche in mare, di fronte alle coste pugliesi, con la Puglia che è una delle regioni più ventilate, ci son voluti ben 10 anni, con ricorsi e controricorsi. Il paradosso sta nel fatto che, sulla costa più vicina, si erge la bellezza – si fa per dire – dell’ex Ilva di Taranto, attuale Arcelor-Mittal.

In un altro intervento Averaldo Farri, della ZCS, ha decretato che i tralicci sono molto più brutti alla vista rispetto alle pale o ai pannelli, oltre a essere più dannosi (soprattutto quelli con tensione dai 10 kilovolt in su) per i campi magnetici creati dalla corrente che passa dentro i cavi. Farri ha poi fatto una rapida analisi sulle rinnovabili in Italia, citando i dati GSE del 2018: le rinnovabili coprono il 35% del fabbisogno, quindi 100 terawattora sui 330 consumati in totale. Di questi, 43 terawattora vengono dall’idroelettrico, che è già praticamente sfruttato al limite massimo, 24 dal fotovoltaico; seguono eolico, geotermico e biogas.

L’Italia si approvvigiona di energia principalmente dall’estero: per il gas si guarda alla Russia e all’Algeria, mentre per il petrolio facciamo riferimento a Libia e Paesi Arabi. Assistiamo comunque a un miglioramento: nel 2012 i costi per acquisti dall’estero erano di 66 miliardi, scesi a 41 nel 2018. Per migliorare ulteriormente, le soluzioni emerse dall’incontro sono principalmente due.

Il primo è che i comuni si organizzino. Il territorio nazionale è pieno di superfici inutilizzabili, perché ex luogo di miniere particolari o addirittura semidesertici. Alcune amministrazioni si sono già tirate su le maniche per fare parchi di fotovoltaico o eolico, distribuendo energia e incassando anche incentivi che vengono utilizzati per infrastrutture o altri bisogni locali. Un bell’esempio è Guiglia, in Provincia di Modena, dove è stato realizzato un parco fotovoltaico su una ex cava, con pista ciclabile che corre intorno al perimetro. Se adeguatamente costruiti possono diventare, infatti, luogo di incontro per la comunità, ma anche di studio e di formazione per i ragazzi.

La seconda via praticabile è la diffusione degli impianti. Per raggiungere una vera «democrazia energetica» è auspicabile che, in futuro, ogni casa riesca a produrre l’energia di cui ha bisogno, attraverso pannelli fotovoltaici o turbine a vento, magari anche integrati tra loro. Luigi Vincenti, che sta studiando questi piccoli impianti con le prime applicazioni già attive, ha raccontato come ha sviluppato i suoi prodotti su questo aspetto. L’obiettivo è sicuramente molto ambizioso, vista la crescita esponenziale sia della popolazione mondiale sia della domanda globale di energia; porsi domande, cercare e studiare nuove soluzioni rimane il miglior modo di affrontare il problema.