Telegram: quando la sicurezza serve all’Isis
Telegram, app nata per garantire la privacy degli utenti, è diventata nel tempo una piattaforma utilizzatissima per comunicazioni fra terroristi.
Questa app, creata dai fratelli russi Nikolai e Pavel Durov, è diventata in pochissimo tempo una seria concorrente di Whatsapp.
Telegram permette di creare chat cifrate e inaccessibili agli stessi gestori del servizio, e «canali» ai quali gli utenti si posso iscrivere per ricevere aggiornamenti. I punti di forza di questo programma sono anche le ragioni della presenza degli jihadisti su questo portale.
A ridosso dei fatti sconvolgenti che hanno travolto Parigi, i due creatori hanno chiuso circa 78 canali legati all’Isis. Ciò non è bastato a fermare la propaganda. Pur non esistendo account col nome «Isis» o «Califfato» ve ne sono tanti altri simili i cui contenuti sono vari e discutibili.
In alcuni casi i canali sono diventati organi ufficiali delle organizzazioni terroristiche come nel caso di Al-Qaeda. In altri casi sono «bot», dei sistemi automatici che prendono i contenuti di piccoli canali per poi rimettere in circolo le informazioni. Una grande arma è costituita dalle chat criptate. La chiave per decifrare il messaggio è presente solo sui due dispositivi che comunicano, così i terroristi possono comunicare sapendo che la loro conversazione non può essere intercettata e/o decriptata.
Viene spontaneo chiedersi se sia possibile porre un freno a questo fenomeno. Difficile, in quanto l’app non è proibita e, come spiega Giovanni Ziccardi, docente di Informatica giuridica all’Università di Milano, «non è contro la legge e quindi liberamente utilizzabile». Un eventuale provvedimento dell’autorità che vietasse l’utilizzo di questa applicazione sarebbe inutile perché porterebbe alla migrazione degli utenti verso un servizio simile.
Molti terroristi hanno abbandonato Twitter perché Telegram offre una privacy maggiore con le chat segrete. Il problema è che, se anche per ipotesi questa app venisse eliminata o limitata, sarebbe solo una goccia nell’oceano: di servizi come questo il web è pieno.
Non capisco il senso di questo articolo, il web è pieno di app e qualsiasi altra forma di comunicazione ed è ovvio che l’utilizzo buono o cattivo che se ne fa dipende solo dalle singole persone.
Detto questo e considerata la crescita esponenziale in tutti i settori, dalle chat comuni ai canali utilizzati ormai da quasi tutte le testate giornalistiche o da molte aziende, sembra che che questo articolo tenda semplicemente ad attaccare un applicazione evidenziandone le capacità solo in senso negativo, quando in realtà il problema è altrove.