Turchia: quel che si sa ma non si dice
C’era una volta l’Unione Europea de «i diritti umani prima di tutto», esiste ora un’Unione Europea che chiude un occhio sul rispetto dei suoi valori imprescindibili in quanto teme di non riuscire a gestire una situazione che appare sempre più fuori dalla sua portata. Questa considerazione nel quadro attuale di politica internazionale ci rimanda immediatamente alla complessa condizione della Turchia, dove domenica scorsa si sono svolte le elezioni parlamentari.
Vincitori indiscussi del processo elettorale sono stati Erdogan ed il suo AKP, partito conservatore turco, che hanno superato il 49% dei voti e guadagnato così la maggioranza assoluta di seggi in Parlamento.
Erdogan, però, si presenta più come un dittatore che come un presidente, facendo di continuo leva sulla paura del suo popolo per mantenere il potere e combattendo in modo illecito l’opposizione, vista come una forte minaccia. In Turchia attualmente è impossibile opporsi al «regime»: telegiornali e giornalisti contrari vengono licenziati o la loro testata viene direttamente chiusa, chi sostiene idee e rappresentanti contrari viene arrestato.
Nicolò è un giovane ragazzo italiano che da qualche tempo abita ad Istanbul e vive giorno per giorno il clima rigido che insinua il popolo turco; dopo alcune domande afferma
«La situazione è confusa, le persone votano Erdogan ed il suo partito perché hanno paura e vedono in lui l’unica possibilità di stabilità economica e politica del paese, anche se toglie loro diritti fondamentali e possibilità. Chi ha votato l’AKP, però, non lo dice, si vergogna e preferisce vivere nel silenzio. Gli unici che vorrebbero cambiare la situazione sono i giovani, ma non esiste un vero leader, un’altra figura tanto influente che possa far fronte alle richieste di chi vuole opporsi».
Tali politiche di violazione dei diritti fondamentali sono messe in atto in un clima di silenzio internazionale o, per meglio dire, persino di promozione. L’Unione Europea, infatti, vede la Turchia come un ponte tra oriente e occidente e come un importantissimo e imperdibile partner nella gestione delle ondate di profughi e rifugiati. Sono stati stanziati 3 miliardi di euro per la gestione dei campi in Turchia, atti a controllare i confini e fermare i siriani. Il Paese è stato inserito nella lista dei 5 paesi più sicuri ed è stato aperto il piano di negoziato per l’adesione della Turchia all’ Unione Europea: si chiede in cambio ad Erdogan il controllo delle frontiere e lo stanziamento di offerte lavorative ai profughi siriani.
Ecco perché è in standby la tutela dei diritti umani da parte dell’Unione Europea, ora si barattano quelli dei cittadini turchi con l’aiuto di Ankara sui rifugiati, perché non si può rischiare di intaccare i negoziati sull’immigrazione con battaglie per i diritti umani che «non porterebbero a niente».
La situazione rimane, quindi, sospesa tra chi afferma che i diritti umani vengano prima di tutto e chi, invece, sostiene che i negoziati siano fondamentali per risolvere il quadro europeo rispetto all’emergenza di profughi. Non è facile farsi un’opinione a riguardo, o forse lo è anche troppo.
Anna Toniolo
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