Una nota a margine dei fatti di Bibbiano
A circa due mesi di distanza dal suo scoppio, lo scandalo di Bibbiano continua a balzare agli onori della cronaca; le indagini sono ancora in corso ma lo svolgimento dei fatti criminosi, grazie alle informazioni pervenute alla stampa, è abbastanza noto e non occorre rievocarlo per l’ennesima volta. Molto si è scritto sul movente ideologico che animava i protagonisti della vicenda, sull’obiettivo di disgregazione della cosiddetta famiglia tradizionale all’insegna dei diritti delle minoranze; quegli odiosi crimini venivano commessi in nome dei diritti dei bambini (manipolati) e delle famiglie adottive.
In effetti, non esiste copertura ideologica e retorica migliore nella società occidentale contemporanea, caratterizzata dall’accrescimento illimitato dei diritti civili, dall’estensione indefinita delle libertà individuali. Queste libertà consentono alle persone di realizzare i propri desideri e non abbisognano di alcuna giustificazione etica, purché rispettino i diritti altrui. «I diritti sono come un raggio di sole, se io mi abbronzo a te non rubo niente», recita il noto aforisma di Saverio Tommasi. Ma è davvero così?
«La libertà – ebbe a scriverne Karl Marx, – è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell’uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. […] il diritto dell’uomo alla libertà si basa non sul legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell’individuo limitato, limitato a se stesso.»
Il rapporto con l’altro cade necessariamente fuori dal concetto di libertà intesa come arbitrio individuale, che ha una sua logica e ragion d’essere finché si riferisce alla proprietà e al consumo dei beni materiali. Ma l’uomo non è un semplice consumatore, è per definizione un essere sociale che vive e si costituisce in quanto persona attraverso il legame con i suoi simili, la sua felicità e la sua realizzazione personale dipendono in misura decisiva da questo legame; nella sfera dei rapporti affettivi e famigliari l’esercizio della libertà di cui sopra si rivela quindi assai più complesso, poiché la scelta del singolo influenza direttamente il destino dell’altro, escludendolo o coinvolgendolo nel rapporto a prescindere dalla sua volontà.
E non esistono confini assoluti nella legittimità dei differenti interessi soggettivi, ma solo arbitrari e mutevoli compromessi codificati di volta in volta dalla legge; ampliare la libertà di una categoria significa restringere quella di un’altra. Così come la «libertà economica» voluta dal liberismo pregiudica il diritto al lavoro e al sostentamento, allo stesso modo le norme sull’affidamento dei minori dopo il divorzio spesso privano i padri separati della possibilità di interagire con i figli e li condannano all’alienazione parentale, il diritto delle coppie gay all’omogenitorialità procede dalla negazione del diritto del bambino a crescere con un padre e una madre, e così via.
Il caso di Bibbiano, nella sua eccezionalità criminosa, ha il merito di svelare l’intima logica sottesa anche al funzionamento legale della nostra «società dei diritti», che non è un paradiso dove chiunque può rincorrere i propri sogni, bensì il teatro di un’incessante battaglia fra categorie e gruppi identitari che sgomitano per farsi largo nell’angusto spazio dei rapporti sociali. Esso smentisce la favola liberale sulla società come somma di individui atomizzati in cui ognuno porta avanti i propri interessi egoistici senza togliere nulla al prossimo, perché la libertà del singolo si esprime di fatto nel controllo o nell’esclusione dell’altro; e dimostra ancora una volta il bisogno impellente di ripensare la libertà della persona alla luce della natura sociale dell’essere umano.