L’Unesco tutela le faggete veneziane, ma non l’Arsenale e Poveglia
Grazie alle mura di difesa costruite da Venezia tra il Cinquecento e il Settecento e dieci antiche faggete, l’Italia conferma il suo primato per quanto concerne i luoghi dichiarati «patrimonio dell’umanità» dall’Unesco. Con i suoi 53 siti riconosciuti, infatti, il Bel Paese si trova in testa alla lista, seguito dalla Cina (52) e dalla Spagna (46 siti).
Per essere dichiarato «Patrimonio Mondiale», questa è la denominazione ufficiale, un luogo deve presentare delle caratteristiche precise e peculiari, come stabilito dal Comitato della Convenzione: innanzitutto deve essere di «eccezionale valore universale» e poi deve rispettare almeno uno tra dieci criteri, divisi tra «culturali» e «naturali», tra cui «apportare una testimonianza unica o eccezionale su una tradizione culturale o della civiltà» oppure «essere uno degli esempi eminenti dei processi ecologici e biologici in corso nell’evoluzione dell’ecosistema».
Nel caso delle faggete, che in Italia coprono ben 2.127 ettari, si tratta di un patrimonio transnazionale, che comprende siti in 13 stati.
Un sito diventa Patrimonio Mondiale solo dopo una candidatura e diversi anni di trattative: in quest’ultimo caso, si è trattato di un lavoro congiunto tra il MiBact, i sindaci dei comuni in cui sono presenti le fortificazioni costruite dalla Repubblica di Venezia (Bergamo, Palmanova, Peschiera del Garda), esperti e tecnici, tutti al lavoro fin dal 2008. Sia Angelino Alfano sia Dario Franceschini si sono detti entusiasti del traguardo raggiunto, che in effetti è doveroso festeggiare, sperando sempre nell’accurata gestione di questo patrimonio artistico.
A quanto sembra da una ricerca pubblicata all’inizio di quest’anno sul Biological Conservation, essere nominato Patrimonio Mondiale non è garanzia, per un certo luogo, di essere conservato e tutelato, anzi: ben 100 siti naturali facenti parte della World Heritage List (il 63% del totale) sono gravemente minacciati e/o danneggiati dall’attività dell’uomo, in particolare dalla deforestazione. L’Europa ne esce abbastanza «pulita», anche se, come hanno fatto noatre gli esperti, non sono state analizzate le conseguenze delle attività di bracconaggio, della pressione del turismo di massa e dei cambiamenti climatici. Anche l’Italia non è presente in questo quadro desolante, eppure, andando a considerare non i paesaggi naturali bensì quelli creati dall’uomo, come dimenticare gli episodi degli anni scorsi dei crolli di Pompei o della cattiva gestione del sito della Villa romana del Casale, in provincia di Enna, entrambi patrimonio dell’umanità dal 1997?
Di Pompei ci siamo occupati più volte e nel complesso la situazione appare migliorata, tanto che ora gli scavi sono visitabili anche di notte; la Villa del Casale invece continua a registrare una flessione di visitatori, come già denunciato due anni fa dal Fatto Quotidiano.
E poi c’è ovviamente il caso di Venezia, città in seria difficoltà tra turismo di massa e grandi navi in Laguna, la cui candidatura per entrare a far parte del Patrimonio dell’Umanità è stata bocciata dalla stessa Commissione che ha approvato invece l’entrata delle sue fortificazioni. Il tutto è rinviato al 2019, perché Venezia non ha rispettato i parametri fondamentali: Forte Sant’Andrea, per esempio, è rovinato dalle onde provocate dal passaggio di navi cargo; l’Arsenale non rispetta il criterio di autenticità e non è aperto al pubblico (salvo per la Biennale), l’isola di Poveglia è in abbandono.
Gioiamo sì, dunque, ma non dimentichiamoci di altri siti storici da salvare.
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