Università: il calvario dei non frequentanti

Consegnata la tesi proprio ieri, ormai solo pochi giorni mi separano dal agognato titolo di «dottoressa» in Management dei Beni Culturali. Nonostante io sia abbastanza soddisfatta del percorso accademico appena concluso, devo ammettere che mi è rimasto un piccolo «sassolino nella scarpa» del quale sento di dovermi assolutamente liberare.

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Per questioni di tempistica, esami sovrapposti ed impegni lavorativi, mi sono trovata a dare l’ultimo esame, Inglese, da non frequentante. Sarò sincera, non è stato l’unico corso che non ho potuto seguire, ma i docenti di queste altre materie non attuano una divisione di programma tra chi frequenta e chi no. Ebbene, proprio in occasione dell’esame d’Inglese ho potuto toccare con mano tutti i problemi che gli studenti non frequentanti si trovano ad affrontare. Oltre ad aver sostenuto una prova scritta e una orale in più degli altri per non aver potuto seguire neanche i lettorati, all’esame vero e proprio – un altro orale – ho dovuto addirittura portare un programma maggiorato di SEI volte rispetto a quello degli studenti frequentanti. Non ci credete? Beh, loro avevano un solo testo da preparare, io ben sei: non è difficile fare una proporzione. Se prima di quest’esperienza guardavo i non frequentanti con occhio torvo dando loro degli svogliati, ora provo un’immensa comprensione nei loro confronti e, al contempo, un’enorme repulsione verso quei docenti che, invece di agevolarli, puntano il dito contro di loro. Certo, naturalmente bisognerebbe distinguere da caso a caso e capire se, dietro la mancata frequenza, ci siano motivazioni valide. Quando, però, si sentono testimonianze come quella di Niccolò, studente ventitreenne di Lettere Moderne all’Università di Padova, non si può che rimanere amareggiati. Niccolò si definisce «studente-lavoratore»: infatti lavora otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, come operaio; per ovvie ragioni, non riesce a seguire le lezioni del suo corso di laurea. «Sicuramente reperire il materiale di studio è la cosa più complicata», ci racconta Niccolò che, pur essendo iscritto a un corso di laurea senza obbligo di frequenza, si è spesso trovato a dover «elemosinare» appunti perché, a detta di certi docenti, non ci sono testi validi che li possano sostituire. «I professori spesso si pongono in modo negativo nei miei confronti, non tenendo quasi conto del motivo per cui io non posso frequentare», confessa sconsolato, facendomi notare che, all’inizio di ogni semestre, si prende cura di inviare una mail a tutti i docenti con cui dovrà sostenere i prossimi esami, chiedendo loro informazioni sul programma e spiegando le cause della sua mancata frequenza. «L’episodio più grave che mi sia successo risale all’anno scorso: la docente di Storia Greca non aveva mai risposto alle mie mail, nonostante gliene avessi inviate tre. Il giorno dell’esame orale ha avuto il coraggio di cacciarmi sostenendo che mi mancasse ancora mezzo libro per completare il programma e rimproverandomi per non essere andato a ricevimento. Due settimane dopo ho dato lo stesso esame con un altro professore: 29!».
Di situazioni come quella di Niccolò ce ne sono tante, ma, purtroppo, il risultato è sempre il medesimo: i docenti, e il sistema universitario in generale, non adattano le proprie esigenze a quelle dei cosiddetti studenti-lavoratori. Questi ultimi sono considerati una categoria inferiore e, come tale, invece di essere valorizzati per il loro impegno vengono derisi e additati come «nullafacenti». Avendo sperimentato io stessa gli effetti di un programma d’esame per non frequentanti, mi sento molto più vicina a questi ragazzi che studiano e lavorano, e sempre più lontana da un sistema che non fa altro che scoraggiarli e ostacolarli.