Dati e interrogativi sulla seconda ondata di Coronavirus

Ad autunno appena iniziato la tanto nominata «seconda ondata» del virus è arrivata in Italia, anche se un po’ in ritardo rispetto al resto d’Europa. I numeri, guardando gli altri Stati, non sono da sottovalutare: se la Francia e la Spagna viaggiano da tempo oltre i 10mila contagi giornalieri, con un picco di 19mila toccati in Francia, anche in Regno Unito nel giro di dodici giorni il numero di contagi è passato da 6mila a circa 17mila.

Se il numero di contagiati dipende da molte variabili, per cui bisognerebbe vedere la percentuale di positivi sui tamponi effettuati o, meglio ancora, sulle nuove singole persone testate (escludendo quindi i tamponi fatti a chi è già risultato una volta positivo), è più facile guardare i numeri assoluti. Il numero di ricoverati e di posti occupati in terapia intensiva è molto più indicativo, perché in questa situazione, che è molto più controllata rispetto a marzo, con una rilevazione più realistica dei contagi, si capisce meglio la capacità che ha il virus di provocare peggioramenti in chi ne viene colpito.

A Parigi e Madrid, con il numero di terapie intensive occupate in crescita (circa 1400 in Francia, con il picco italiano della prima ondata che si è aggirato sui 4mila), sono già entrate in vigore restrizioni per bar, ristoranti e feste in casa. Anche Berlino ha deciso, da mercoledì, di mettere il coprifuoco alle 23 ai locali: l’indice di contagio è salito a 1,23 con 1600 contagiati in città martedì. A Londra alcune restrizioni entreranno in vigore domani e in Scozia i locali saranno chiusi per due settimane; a Bruxelles invece il tempo di chiusura arriva a un mese.
Torniamo però in Italia, dove la situazione è nel complesso sotto controllo, a parte in alcune zone. All’ospedale Cotugno, in settimana, le ambulanze son rimaste bloccate all’esterno in attesa di nuovi posti: la soluzione è stata ampliare sia il reparto di TI sia quello dei ricoveri covid, togliendo però posti ai ricoveri ordinari. In Campania, come in Calabria e nel Lazio, la mascherina è già sempre obbligatoria all’esterno. Per questo e per altre questioni, ci sono delle domande a cui il Governo dovrebbe rispondere. In primis, sul numero di tamponi: nei mesi peggiori, a parte le meglio organizzate Gran Bretagna (nonostante i problemi di tracciamento) e Germania, facevamo molti più tamponi degli altri stati UE. Adesso, nonostante l’incremento fino a 125mila tamponi al giorno, notiamo che la Spagna e la Francia (quest’ultima ne fa 220mila al giorno) ci hanno ampiamente superato. Sfuggono i motivi di questa arretratezza nella programmazione, che non emerge neanche dalle numerose interviste rilasciate dagli esponenti del governo sul tema. Aspettiamo anche, da qualche settimana, l’annunciata approvazione dei test rapidi da parte del Comitato Tecnico Scientifico (il primo a scuola è stato effettuato mercoledì, nel padovano). È inoltre inammissibile vedere auto incolonnate per 6-8 ore per fare un tampone, magari precritto dal pediatra ai bambini: le regioni devono trovare modalità alternative.

Una seconda questione riguarda la scuola: qui il problema, più che la aule in sé, per cui la situazione tutto sommato è sotto controllo o comunque ampiamente prevista, è lo spostamento di milioni di persone. Il limite dell’80% di capienza nei mezzi è impossibile da rispettare, soprattutto visti i mancati investimenti sia sui treni regionali che sugli autobus o sulle metro. Se in aula si prendono mille precauzioni, con sacrifici da parte di alunni e professori, questi rischiano di essere vanificati all’esterno nel giro di poco tempo.

Un ultimo punto è la comunicazione. La voce riportata da tutti i giornali di un possibile coprifuoco alle 22 o alle 23 nel nuovo dpcm, poi smentita da Palazzo Chigi, somiglia alla fuoriuscita delle bozze dei dpcm di inizio marzo, quando l’annuncio dei lockdown locali scatenava il panico. Confusione che si è vista, ad esempio, anche nell’interpretazione dei protocolli sanitari per i calciatori professionisti. A tratti si ha quindi l’impressione che dall’esperienza passata non si sia imparato molto: nonostante un aumento dei posti di terapia intensiva, peraltro neanche troppo marcato, l’organizzazione complessiva lascia molto a desiderare.