Usa e Cuba: «Sí, se puede»
Domenica 20 marzo 2016 è stata una data una storica: Obama è stato il primo presidente degli Stati Uniti a recarsi a Cuba dopo 88 anni. I rapporti tra i due paesi si erano già riallacciati da un anno e mezzo, periodo in cui i due leader si erano incontrati altre due volte ma mai su suolo cubano. La visita è durata tre giorni: il primo giorno Obama ha visitato il centro storico, patrimonio dell’Unesco, attraverso un percorso guidato, scortato da un folto manipolo di uomini. Di Castro, però, nemmeno l’ombra, fattore su cui Obama ha scherzato durante l’incontro al Palazzo della Rivoluzione il giorno dopo. Quello stesso giorno i due si sono confrontati, dopo una stretta di mano fotografata da tutti gli angoli, sulle profonde differenze che ancora esistono tra i due paesi, fra queste la libertà. Questa si trova in entrambi gli stati, anche se con modalità e peso molto diversi, e i due presidenti lo hanno ribadito proprio durante il loro confronto: sebbene ci siano degli evidenti punti di disaccordo la parola chiave è stata «riapertura», nel rispetto anche dei costumi e delle profonde diversità culturali dei due paesi. Da una parte Obama riflette sull’accesso a internet negato ai cubani ma soprattutto sulle questioni relative alla politica e alla democrazia: lo statunitense ha poi, infatti, incontrato i dissidenti politici cubani nell’ambasciata statunitense, per ribadire quanto sia coraggioso interessarsi alla vita politica di un paese dove, di fatto, la democrazia non c’è.
Da parte sua, Castro rinfaccia agli Usa la mancanza di una sanità che garantisca le cure, di diritti all’istruzione, al cibo, dello sviluppo e dei diritti dei bambini.
Se quest’incontro è stato condotto sul filo della moderazione, il giorno dopo Obama ha tenuto un discorso molto deciso al Teatro Nazionale dove ha parlato, di fronte ad una platea inaspettatamente formata anche da dissidenti politici, di democrazia e di diritti umani inalienabili che devono essere rispettati tassativamente. Ha poi continuato parlando anche dell’embargo, sollecitato dalle molte domande di Castro, ribadendo che la scelta non spetta a lui ma al Congresso; dalle sue parole però si è potuto evincere che lui sarebbe a favore dell’eliminazione assoluta.
I tre giorni di incontri si sono conclusi con la partita tra la squadra nazionale cubana di baseball e la squadra della Florida, i Tampa Bay Rays, a cui hanno assistito i due presidenti.
Quest’incontro è sembrato disteso e pacificatore, pensato per chiudere finalmente il capitolo guerra fredda. «Sí, se puede», speriamo che Obama abbia ragione.
Giada Arcidiacono
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