Valutazione ragionata del DDL Zan

Questo articolo nasce in seguito a una lunga e in larga parte infruttuosa ricerca di approfondimenti in merito al DDL Zan, nonché da una certa stanchezza nei confronti dell’opinione pubblica e della sua superficialità sul tema della discriminazione rapportata alla legge, enormemente più complesso di quanto ci è stato presentato in questa e in altre occasioni.

Chi scrive è assolutamente d’accordo con l’intento della proposta, ma critica l’impianto della Legge Mancino, di cui è estensione.

Sul piano giuridico, le leggi penali non servono ad affermare concetti o a proclamare ideali, bensì a regolare la convivenza civile tra sensibilità intrinsecamente diverse e talvolta contrastanti. Affermare che il DDL Zan va promulgato perché ha valore simbolico, opinione dominante e spesso unica tra i sostenitori, non ha legalmente senso, è sociologicamente controproducente ed è anche psicologicamente tossico.

La bontà o la cattiveria di un simbolo non può e non deve essere affermata per legge, a meno che non si voglia sostituire il concetto di Stato di diritto con quello di stato morale, religioso o ideologico che sia. Ciò riporterebbe la lancetta della struttura sociale indietro di decenni, se non di secoli.

Su quello dei rapporti sociali, perseguire gli effetti della discriminazione e dell’odio in base alla categoria dei bersagli lascia sempre qualcuno indietro. Sono un esempio gli individui afflitti da disturbi psichici non invalidanti o non riconosciuti dal sistema stato come tali, oppure i senzatetto e i poveri in genere. La Legge Mancino emendata dal DDL Zan non li calcola. Si può affermare che, nel momento in cui verrà alla luce la necessità di proteggere un’altra categoria fragile, si potrà emendare ulteriormente la misura, ma ciò potrà succedere soltanto in seguito a ulteriori reati del genere. Il problema va risolto trattando e regolando il comportamento discriminatorio in quanto tale.

Le buone leggi non inseguono il presente, bensì guardano al futuro. Cambieranno i bersagli, ma l’istinto a discriminare e odiare attivamente resterà, in quanto è legato all’autoconsapevolezza dell’individuo, al suo benessere e al contesto culturale in cui agisce, ma solo in minima parte a quello legislativo. Fino a qualche tempo fa, le persone mancine, epilettiche o con i capelli rossi venivano discriminate per via di superstizioni. Ciò non è cessato grazie a una legge, ma al superamento di una certa mentalità.

L’omotransfobia, come la xenofobia, include la parola fobiache è definita in psicologia come paura irrazionale ereditata da esperienze o convincimenti della prima infanzia, poi rimossi dalla coscienza. Si tratta di un sintomo patologico. Se viene perseguito e additato per via di esso, l’omofobo registra soltanto che viene colpevolizzato perché prova un’ostilità che non è in grado di riconoscere, arginare ed elaborare da solo. Va da sé che la punizione diviene un fattore d’inasprimento delle sue erronee convinzioni sulla dignità umana.

Sull’ultimo punto risulterà utile la parte sulla sensibilizzazione, ma in tribunale i cambiamenti saranno minimi: si passerà dall’aggravante dei futili motivi, che comporta l’aumento di 1/3 della pena quando applicata, a quella del movente discriminatorio, che la potenzierà di 1/2. Se l’esistenza del reato non ha funzionato come deterrente, nemmeno questo minimo ritocco dell’aggravante lo farà.

La Costituzione offre una soluzione sostanziale a tutti questi problemi nella formula all’articolo 3«… Senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Basterebbe ricopiarla nell’impianto della Legge Mancino e le intenzioni del DDL Zan sarebbero pienamente compiute.