Varanasi: un viaggio nella Madre India fatta di vita e di morte
Varanasi è considerata la città sacra dell’India, la più spirituale e magica, dove il Ganga, la Madre India, l’essenza dell’induismo più puro, attraversa questa incredibile metropoli di un milione di abitanti. Varanasi è la città di Shiva, dove la vita e la morte scorrono su questo fiume, che accoglie il popolo per essere purificato.
La via più caratteristica per arrivare in questa città parte dalla stazione dei treni di Nuova Delhi: le dodici ore passate nelle piccole carrozze, tra l’odore del dal al curry e del lassi fresco al mango, tra le grida dei passeggeri e i bambini che chiedono qualche spicciolo alle fermate intermedie rendono il lungo viaggio immenso, profondo e introspettivo.
L’aria notturna attraversa il sonno dei passeggeri, e, tutto si calma. Nei lunghi corridoi del treno si sente solamente il rumore delle rotaie, le chiacchere di qualche insonne e la brezza del vento.
L’alba, i raggi di luce che entrano dalle finestrelle, il profumo di pane caldo e marmellata, del tè chai e delle uova svegliano delicatamente i viaggiatori: gli ambulanti iniziano a scorrere tra le carrozze del treno per servire la colazione. Ancora qualche ora e la città sacra è pronta ad accogliere i passeggeri.
Tra piccoli villaggi e lunghe distese di campi di grano, dove i contadini lavorano già duramente e i bambini corrono con le loro uniformi blu per andare a scuola, tra il sole lucente e l’aria sempre più calda, il treno raggiunge Varanasi.
Fuori dalla grande stazione, il rumore dei touk touk e dei clacson impazziti, delle grida delle persone e dei piccoli ambulanti che cercano di farti acquistare qualsiasi cosa, anche la più inutile, avvolgono in modo penetrante la mente.
Nel centro della città sacra, tra mendicanti, vacche, odori nauseabondi e piccole botteghe, sorge imponente il tempio Vishveswara, il più importante della città e dedicato a Shiva. Una lunga fila di pellegrini hindu attende di entrare: è agosto e le strade di Varanasi sono circondate da un’aria di festa.
L’Alka Hotel, situato nella parte alta della città, apre le porte a una vista che quasi emoziona: le barche sul Gange, le scalinate del Dasaswamedh Ghat, stracolme di persone che pregano e che si immergono nelle acque della Madre e i vicoli stretti, troppo stretti della città, dove le urla dei cortei funebri trasportano il morto da cremare.
La sera avvolge finalmente le scalinate di Varanasi, i bramini celebrano le divinità con i loro canti devozionali e i bambini corrono con delle campanelline per salutare la fine di una lunga giornata con le loro preghiere e i riti hindu: tanti piccoli lumini riempiono le acque del fiume, ormai avvolte di una luce magica e spirituale. La luna ormai, sempre più alta, illumina la terrazza dell’Alka Hotel, dove il profumo inebriante delle spezie, delle malai kofta, piccole polpette fritte al curry sono un’esplosione di sapori che aleggiano nell’aria calda, troppo calda di Varanasi.
Non c’è tempo per dormire la notte: bisogna aspettare l’alba, la parte più bella, indescrivibile, che illumina la magia della città. Le nuvole coprono il sole, che timidamente sorge sul fiume: è l’ora della rinascita, l’ora più bella, secondo Terzani, quando la notte aleggia ancora nell’aria e il giorno non è ancora pieno, quando la distinzione tra tenebra e luce non è ancora netta.
La luce si fa sempre più profonda: il sole riflette incredibilmente sul fiume, accendendo di luce divina le piccole barche. Il fumo della cremazione e la cenere avvolgono l’aria, sempre più pesante, con un odore intenso di legno di sandalo e di incenso che avvolge le scalinate: la vita e la morte, le tenebre e la luce si accompagnano e si intrecciano.
Tutto torna alla normalità, tra le grida dei bambini e i Sadhu, gli indiani che meditano sulle rive del fiume: le preghiere riprendono a celebrare la vita, e, il sole è ormai alto nel cielo, come se volesse illuminare e far brillare di luce propria ognuno di noi.