Voi donne dovete combattere il consumismo
L’altro ieri è stato pubblicato su questo blog un articolo ben scritto di Bertilla Fabris riguardo allo smembramento femminile cioè, cito, «quella pratica di de-personificazione degli appartenenti al genere femminile». L’autrice afferma che tale dissezione reificante indurrebbe (sul piano subliminale) i gli uomini a comportarsi in maniera maschilista, addirittura ad autorizzarli ad atti gravissimi quali molestie e stupri.
Per quanto io sia teoricamente d’accordo nel biasimare questo uso mediatico della donna non sono affatto sicuro che esso sia una delle cause di quel tipo di sessismo. Negli anni ’50, ai tempi del cosiddetto fascismo clericale della DC, era atto di scandalo anche solo mettere in vetrina dei reggiseni e certo la società dell’epoca era innegabilmente più sessista e maschilista di quella odierna.
Tra l’altro, l’autrice dimentica di dirci che la maggioranza di quelle pubblicità che lei condanna sono rivolte in primis alle donne ed evidentemente quel modo di rappresentarle è quello più efficace per vendere profumi, tanga e lucidalabbra. Puro marketing. A me pare che il vero spettro contro cui voi donne dobbiate combattere sia il consumismo. Certo, il fenomeno riguarda entrambi i sessi, ma penso sia molto più forte in quello femminile. Basti pensare allo shopping, attività innegabilmente più amata dalle donne che dagli uomini. Lottare contro un’idea consumistica della donna significa lottare per una eguaglianza vera.
Quei pezzi di femmina non rendono affatto la donna un oggetto che l’uomo può abusare a suo piacimento, anzi, al contrario, possono creare in lui insicurezza, diffidenza e soprattutto frustrazione: l’uomo è bombardato continuamente da ogni media da immagini di donne bellissime e con corpi mozzafiato, moltissime delle quali sono ritoccate con Photoshop, il che rende quelle donne completamente irreali; nonostante ciò, sono proprio queste figure inesistenti che l’uomo, almeno da principio, cerca e ciò lo allontana (altro che molestie!) da un vero rapporto con le donne reali che sono molto più complicate di quelle su uno schermo. Dall’altro lato, spesso una donna si sente in obbligo di imitare a queste figure irreali mettendo in mostra il proprio corpo, assumendo certi comportamenti e ovviamente acquistando certi prodotti.
Quindi, anziché lamentare un generico sfruttamento del corpo femminile nei media (ma chi sono le sfruttate? Le attrici, le modelle, le vip pagate migliaia e migliaia di dollari?) che si tradurrebbe in uno sfruttamento sessuale nel mondo reale (chi lo dice che le cose stanno così?) è doveroso riconoscere che il male sta nel proporci un modello culturale irrealizzabile e volgare, cioè quello consumista edonistico (Pasolini docet).
Per quanto riguarda lo sfruttamento dell’animale femmina citato nell’articolo mi limito a dire questo: sono d’accordo con una graduale chiusura degli allevamenti intensivi industriali, ma non si può certamente parlare di stupro per quanto riguarda l’inseminazione delle mucche alle quali «togliamo persino il consenso riproduttivo». Ammetto che non sono un esperto della riproduzione bovina, ma penso sia una ricostruzione un po’ fantasiosa quella del toro che chiede il permesso per fare sesso. Lo stupro poi è una cosa molto grave: le sofferenze di chi ne ha subito uno non sono minimamente paragonabili all’inseminazione di una vacca.
Più che della sua individualità mi preoccupa questa umanizzazione dell’animale e non capisco questi paralleli simbolici tra parti anatomiche umane e quelle animali,: delle donne mi piacciono anche le tette e il culo e non penso affatto a mammelle bovine o cosce di pollo, né per questo mi sento maschilista o un perverso, semplicemente sono un maschio eterosessuale ed è normale che sia così. Chi afferma il contrario è un ipocrita e un sessuofobo.
Nato nel 1993, felicemente piemontese. Dopo gli studi di ragioneria, mi sono addentrato in quelli di Lettere, conseguendo la laurea triennale. A breve, arriverà anche il titolo magistrale.