Una carovana di volontari per aiutare Idomeni
Idomeni è una località greca al confine con la Macedonia che attualmente si è trasformata in un campo di accoglienza per profughi e immigrati che scappano da situazioni di guerra e sofferenza e in quel campo rimangono come «fantasmi» che la Macedonia non vuole e la Grecia confina.
Giornali e notiziari ci bombardano di notizie, foto e informazioni sulla situazione del campo, ma spesso non siamo completamente consapevoli riguardo a ciò che accade ogni giorno in quella mega tendopoli.
«Tutto il paese ormai è diventato un campo profughi, sono circa in 14mila e ci sono moltissimi bambini e donne, tante delle quali sono incinte» esordisce così Ndack, una ragazza che da qualche giorno è tornata proprio da Idomeni, dove si è recata come volontaria per portare aiuti e beni di prima necessità. Lei e altri circa 300 ragazzi hanno risposto a un appello lanciato dal progetto Melting Pot che si occupa di diritti di cittadinanza. Chiedo a Ndack di raccontarmi la sua esperienza e lei parte come un fiume in piena, trasmettendomi una cascata di emozioni: «Il campo è diviso in due parti, una parte è illuminata, mentre l’altra no, ci sono alcuni bagni chimici, ma la situazione è drastica. In particolare le donne non utilizzano questi servizi, di notte, senza luce, hanno paura. In questo modo, però, si diffondono molte infezioni e malattie dovute alla scarsa igiene e alle condizioni invivibili, rese ancora più pesanti dal fatto che il campo nasce da un appezzamento di terra battuta ed erba, il che concorre a peggiorare la situazione.
La nostra carovana di volontari si è recata lì per cercare di aiutare nel miglior modo possibile. Siamo stati divisi in gruppi, alcuni si occupavano della comunicazione e quindi dell’informazione attraverso blog, eccetera, altri facevano parte del gruppo artigiani ai quali spettava il compito di costruire alcune strutture; c’era il gruppo dei traduttori e il gruppo per la distribuzione dei beni che avevamo portato con noi.
Il primo giorno, dopo essere entrati nel campo, abbiamo cominciato a distribuire aiuti, in modo riservato comunque per evitare scompiglio e confusione, due atteggiamenti poco favorevoli. Nel campo c’era buio, c’era fumo, la gente brucia qualsiasi cosa per generare luce e calore». A questo punto Ndack tossisce e si scusa, e le escono delle parole che mi colpiscono nel profondo: «Scusami se ho il fiatone, ma da questi giorni sono tornata senza fiato, forse è stato il fumo, o forse non lo so».
Continua a raccontarmi le attività che hanno svolto nel campo e le sensazioni che ha percepito: «Nel campo nonostante tutto non si respira un clima teso, la gente sta male, ma cercano di farsi forza a vicenda e di sopravvivere nella loro lotta».
Mi racconta che il secondo giorno è stato particolarmente difficile, si paventava l’idea di una protesta all’interno del campo organizzata dagli stessi migranti e, poiché le autorità locali temono molto queste situazioni, la carovana è stata bloccata all’entrata del campo per il timore che i volontari potessero prendere parte alla protesta stessa o comunque aumentare l’animo della contestazione: «Appena siamo arrivati la polizia ci ha bloccati, non sapevamo più come spiegare loro che volevamo solo portare aiuti. Dopo quattro ore di attesa sotto la pioggia abbiamo creato un muro con i beni destinati ai profughi del campo, come per dire loro che l’unica barriera che eravamo in grado di creare era quella del sostegno e dopo un’attesa straziante siamo riusciti ad entrare, per continuare il lavoro che avevamo cominciato».
Mi racconta per filo e per segno ogni loro attività, sono quasi incantata dalla forza di questi volontari e dalla loro umanità. Dopo un po’ chiedo a Ndack qual è la sensazione più forte che si porta a casa e mi risponde senza esitare: «L’ingiustizia. Ingiustizia perché un’accoglienza diversa è possibile, nel campo nessuno mette in pratica gli accordi, nessuno informa chi è lì, nessuno aiuta o rende più sostenibile questo contesto già di per sé disumano».
La carovana di volontari non termina con il ritorno in Italia, ma continua ad essere attiva, infatti domenica 3 aprile sarà organizzata una manifestazione sul Brennero contro le frontiere che l’Austria vuole erigere per evitare l’ammassamento di richiedenti asilo.
Dopo queste parole probabilmente tutto risulterebbe banale e l’unico appello che personalmente mi sentirei di lanciare è di rimanere umani e di ricordare che la dignità è un valore che spetta a chiunque.
Anna Toniolo
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