Voler morire per riscoprire la vita
Certo che la vita è proprio strana. Ci fa nascere, qua, su questo ammasso di terra, tutti assieme. Allo stesso tempo, però, tutti distanti. Soli nel nostro involucro di pelle.
E poi, questa meschina, ci guarda soave e ci dice «Avanti, vivete!».
Ma cosa significa vivere?
Perché la vita non ci dice chiaramente che dobbiamo farci con tutti questi anni a disposizione?
E di tutti questi pensieri? Ne vogliamo parlare?
Dobbiamo tenerli nascosti nella nostra mente o dobbiamo forse cercare di buttarli fuori in qualcosa di reale? Sarebbe troppo facile, direbbero, così: avere tutto chiaro davanti agli occhi, consapevoli del nostro percorso premeditato.
Giusto ieri ho visto un pezzo di un film, mi ha davvero colpita.
Più che altro mi ha dato uno spunto su cui riflettere attentamente, per aggrovigliare un po’ di più la mia furiosa matassa di pensieri.
Parlava di Dio.
Il Dio creatore, che, in realtà, non era altro che un balordo, sboccato e subdolo omuncolo di un altro universo.
Si divertiva a far soffrire le persone, poiche il suo unico passatempo era quello di giocare con le sue pedine umane, create appositamente per il suo svago, in un mondo che andava sempre più verso la catastrofe.
Si divertiva così, a rendere la vita di quei piccoli esserini sempre un po’ peggio di quanto non fosse.
Per avere il totale controllo su di loro aveva messo in atto una sola, semplicissima mossa:
Non rivelare a nessun essere umano la propria data di morte.
Geniale.
Ora, però, mi chiedo, cosa faremmo se sapessimo quanto tempo ci rimane da vivere?
Se tutti vivessimo con la costante consapevolezza del nostro conto alla rovescia verso la morte, non vivremmo forse una serie di vite straordinarie?
Ripensando alle mie azioni passate, forse è proprio questa sensazione che ricercavo: quella di avere le ore contate.
Gli occhi focalizzati sulla fine, semplice, davanti a me. E nel mezzo, il preciso conto dei miei giorni rimanenti.
Dunque, non è giusto.
E se decidessimo tutti noi quando morire? Visto che non possiamo conoscere i piani di Dio, creiamoceli noi.
Perché non programmarci noi la nostra fine?
«Io scelgo il 27 ottobre».
«Io il 3 agosto».
E poi anche l’anno, la modalità, l’ora.
Non sarebbe tutto più semplice?
Da lì in poi, tutto sarebbe più limpido.
Saprei quanto tempo ho a disposizione, dunque saprei cosa fare, e come farlo per poterlo realizzare in tempo.
Prima della fine.
Sarebbe bello, dannatamente utopico.
Perché noi uomini, ahimè, per quanto la vita possa prenderci a sberle, vogliamo vivere. Ad ogni costo. E abbiamo paura, tremendamente paura della morte.
E vogliamo sempre un po’ di più di quello che abbiamo già.
Il 27 ottobre, nello scorrere del tuo ultimo giorno, non vorrai far finire il tuo orologio. Ti concederai un minuto in più, perché vorrai sopra ogni cosa, quei sessanta secondi aggiuntivi. Saranno proprio quelli, infatti, che ti daranno lo spazio necessario per pensarci meglio, e cambiare idea.
Cambiare destino.
«Io non voglio morire, perché ho imparato il valore del tempo. Ho imparato a vivere».
Non crederai più alla frase fatta «Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo», ma: «Vivi ogni giorno come se la vita non avesse fine. Perché bisogna crederci, crederci davvero che tutto… Tutto. Per noi, sia possibile».
Io, in un tempo in cui il dolore contaminava costantemente le mie giornate, ci ho provato a darmi una scadenza.
Purtroppo, però, io non ero e non sarò mai uno yogurt.
Tuttavia, grazie a quella folle, malsana idea (che poi era una reale necessità) io ho vissuto giorni veri. Io ho vissuto davvero.
In vera presenza di me stessa.
Le ore: contate.
Il tempo: inizialmente buttato al vento.
Poi… Io: finalmente cosciente del mio tempo, della preziosità della mia di vita.
Quello che avrei dovuto fare, non lo sapeva nessuno.
Nemmeno Dio.
Eppure imparai a vivere meglio di prima.
Infinite straordinarie vite frutto di una sola, altrettanto straordinaria, protagonista:
me stessa.
La vita è proprio strana.
Scegli un 27 ottobre per morire.
E poi ti scopri a vivere.